Stalking: capirlo e affrontarlo

In questo articolo partirò dalle definizioni e dall’inquadramento legale dello stalking, importante perché fino a pochi anni fa in Italia non c’era una legislazione ad hoc e quindi anche la definizione di questo fenomeno finiva col diventare un po’ nebulosa; racconterò brevemente gli sguardi dei criminologi sullo stalker e sulla vittima di stalking, con qualche inevitabile generalizzazione che può essere però utile ad individuare con più chiarezza certi comportamenti, specialmente se li si sta vivendo;  porterò poi qualche suggerimento su come comportarsi e alcune considerazioni.
Mi riferirò alle donne, perché ancora sono loro la maggioranza delle vittime di violenze e stalking (si possono trovare in internet tutti i più recenti dati dell’Istat e dell’Oms).

Definizioni e aspetti legislativi

Riguardo al fenomeno dello stalking, a mio avviso ci sono tre premesse importanti da fare:

  • si tratta di azioni solitamente non “negative” o legalmente perseguibili di per sé, ma con caratteristiche che potremmo definire“di processo” e di intenzione, più che di contenuto oggettivo
  • nell’individuazione e definizione giuridica della condotta di stalking viene data rilevanza alle sue conseguenze psicologiche sulla vittima
  • molti femminicidi sono preceduti da stalking, quindi potrebbero essere prevenuti!

 

Stalking in italiano si traduce come”sindrome del molestatore assillante”.
E’ una parola presa a prestito dal linguaggio della caccia e significa letteralmente “inseguire furtivamente la preda”, nel caso di una preda umana quindi appostandosi, pedinandola, raccogliendo informazioni sulla sua vita e sui suoi movimenti.
Alcuni comportamenti che in un altro contesto sarebbero graditi, come telefonate, messaggini, visite inaspettate, invio di fiori, si trasformano in vere e proprie persecuzioni, limitando la libertà di chi ne è oggetto e stravolgendone la vita.

La legislazione internazionale ha iniziato ad occuparsi di questo fenomeno prima in California nel 1991, definendolo come “intenzionale, malevolo e persistente comportamento di seguire o molestare un’altra persona”; questo dopo che negli anni ’80 erano stati portati all’attenzione della cronaca episodi di persecuzione nei confronti di personaggi famosi dello spettacolo e dello sport.
Nei paesi anglosassoni le norme anti- stalking sono piuttosto severe e prevedono molte restrizioni e controlli anche nell’uso del telefono e di altri mezzi di comunicazione da parte dello stalker.
In Europa le leggi anti-stalking sono state introdotte dal 1997 in Gran Bretagna e poi, a seguire, in Irlanda, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Malta, Germania, Austria.
E in Italia? Solo dal 2009 con l’art. 612 bis è stato previsto il reato di atti persecutori.

La novità e la particolarità di questa legge sta nel fatto che la condotta del reo deve determinare nella vittima una o più delle seguenti conseguenze:

  • grave disagio psichico
  • giustificato timore per la propria incolumità
  • modifica in modo rilevante delle abitudini di vita.

Di solito viene consigliato alla vittima di tenere un diario degli episodi persecutori, con date e fatti riportati con più precisione possibile.
Non tutti sanno che c’è la possibilità di ottenere  il divieto per il persecutore di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa, già prima della verifica processuale delle responsabilità dell’indagato.

 

Riconoscere (e conoscere) lo stalking

Nei casi di stalking è molto importante non sottovalutare nessuna azione anche apparentemente trascurabile o di per sé innocua, sentendo quando un comportamento è intrusivo e assillante, in una ricerca di contatto e attenzione che preoccupa e infastidisce chi la subisce, mettendola in allerta.

Lo stalker è molto spesso una persona con cui in passato si è avuta una relazione anche intima; c’è spesso da parte sua un investimento affettivo che può essere basato anche su una situazione del tutto immaginaria.

I criminologi hanno definito  una serie di “tipologie” di stalkers, distinte per la motivazione dei loro comportamenti.

  • Risentito: vuole vendicarsi di un presunto torto; è potenzialmente pericoloso perché può arrivare a ledere sia l’immagine della vittima, sia la vittima stessa.
  • Bisognoso d’affetto: vorrebbe una relazione affettiva o sentimentale con la vittima, considerata il partner o l’amico ideale, negandone il rifiuto in modo delirante.
  • Corteggiatore incompetente: privo di competenze relazionali con l’altro sesso, diviene esplicitamente opprimente, aggressivo e villano quando non raggiunge il suo scopo.
  • Respinto: ex partner, che oscilla tra il desiderio di ristabilire la relazione perduta e la vendetta per l’abbandono subito; può diventare pericoloso.
  • Predatore: ambisce di avere rapporti sessuali con la vittima, pedinandola, inseguendola, spaventandola, eccitato dalla sua paura; può essere molto pericoloso e difficile da controllare.

 

Statisticamente, la maggioranza delle donne che subiscono stalking sono di età compresa tra i 18 e i 24 anni, con livello d’istruzione più elevato rispetto a quello del molestatore, e senza un relazione stabile al momento dei fatti.
E’ stato messo in evidenza come, nei casi frequenti in cui lo stalker è un ex partner, alla molestia assillante segua spesso la violenza vera e propria.

 

Alcuni studi hanno analizzato la relazione tra stalker e vittima, tentando così di delineare i “profili” delle potenziali interessate; può essere utile conoscerli, sempre in un’ottica preventiva e nell’analisi delle varie situazioni.

  • Vittima personale: ha avuto con il molestatore un rapporto amoroso o di amicizia.
  • Vittima per professione: appartenente alle professioni d’aiuto (medici, infermieri, psicologi, avvocati, insegnanti eccetera). Lo stalker  proietta propri bisogni profondi sulla vittima, oppure come “paziente” la investe di responsabilità eccessive legate al suo ruolo professionale.
  • Vittima per lavoro: persecuzioni in ambito lavorativo come il mobbing, che finiscono poi con l’invadere anche la vita privata.
  • Vittima mediatica: nel caso di personaggi famosi.
  • Il Conoscente: la vittima è un’estranea, ma lo stalker pensa di avere con lei una sorta di rapporto ideale.

 

Come comportarsi? Alcuni suggerimenti

Inizialmente, chi viene ad essere vittima di stalking tende ad avere un atteggiamento accomodante con l’aggressore, nell’intento di convincerlo a desistere; questo però fa il suo gioco, in quanto lo stalker non rispetta le scelte altrui e quindi alterna momenti di apparente remissività a pericolosa aggressività.
La vittima allora inizia ad avere condotte di evitamento, arrivando anche ad isolarsi dalle persone vicine per tutelarle dalla situazione in cui si trova.
Le strategie per reagire non si possono generalizzare, tuttavia esistono alcune regole utili:

  • Non negare il problema, ma riconoscerlo: è difficile all’inizio, perché nessuno vuole pensarsi come “vittima”; è però un passo indispensabile per non sottovalutare il rischio e adottare precauzioni per proteggersi.
  • Usare fermezza nel respingere le molestie fin dall’inizio in modo chiaro, senza tentare di convincere lo stalker a desistere perché questo potrebbe essere interpretato come un’attenzione nei suoi confronti.
  • Adottare comportamenti prudenti finchè c’è il problema, ad esempio evitare routines prevedibili e luoghi isolati.
  • Importantissimo raccogliere dati precisi sulle molestie subite: appunti, registrazioni della segreteria e delle telefonate, salvare le e-mail e gli sms, servono a produrre prove.
  • La strategia migliore sembra quella di mostrare indifferenza, anche se è difficile dato il livello elevato di stress che si viene a creare.

 

Cosa può succedere alla persona oggetto di stalking

La percezione della molestia è per ogni persona soggettiva, tuttavia gli atti di stalking ledono la libertà e la riservatezza della persona, procurandone sofferenza.
L’imprevedibilità dell’aggressione può determinare nella vittima uno stato di ansia perenne, con la sensazione di non sentirsi mai al sicuro; spesso ci sono:

  • conseguenze gravi come l’insorgere di un Disturbo Post Traumatico da Stress;
  • disturbi del sonno e modifica dei ritmi sonno-veglia;
  • pensieri ripetitivi;
  • la modifica delle abitudini di vita della persona, fino ad arrivare a cambiare luogo di residenza;
  • l’isolamento della vittima, che può temere di non essere creduta o supportata davvero dai familiari e dalle persone vicine, a volte anche per un ingiustificato senso di vergogna.

 

Cosa fare? Uno sguardo Funzionale

E’ importante che chi subisce stalking venga sostenuta e aiutata, sia a recuperare le forze per affrontare l’eventuale processo, sia a riprendere pienamente in mano la propria vita.

Spesso l’isolamento in cui viene relegata dalla situazione subita la mette in una condizione di chiusura emotiva (ma anche posturale e cognitiva, con la restrizione delle abitudini e quindi delle possibilità progettuali che le si presentano), in cui la rabbia che prova non è aperta ma rivolta contro se stessa, a volte con sentimenti di colpa; un atteggiamento difensivo generalizzato; una riduzione della propria capacità decisionale in quanto l’altro controlla la sua vita; c’è anche a volte una difficoltà a riconoscere il pericolo, a valutare chi si ha davanti, e una confusione nel percepire le proprie sensazioni davanti agli atti aggressivi dell’altro; molte hanno una resistenza nel denunciare il molestatore, rimanendo convinte che in fondo “lo fa perché mi vuole bene”.

E’ quindi molto utile un supporto psicologico per aiutare la persona che si trova in situazione di stalking a prendere consapevolezza del rischio che sta correndo, e ad andare verso un processo di progettualità autonoma in cui la propria vita non sia più in balia delle azioni persecutorie.

 

Fonti Bibliografiche

R. Rosin, E. Martinelli, Lezione dell’11/10/2012, Percorso di formazione: “Differenze di genere e pari opportunità” tenutosi a Padova presso l’Istituto di Psicologia Funzionale nel settembre – ottobre 2012.
E. Morano Cinque,“Stalking: una ricostruzione del fenomeno alla luce delle categorie civilistiche”, Nota a Cassazione Penale, 12/01/2010.

Lo stress buono e lo stress cronico

Gli esseri viventi sono in continuo adattamento all’ambiente e alla realtà, in un processo attivo che guida lo sviluppo ed i comportamenti, e lo stress è un sistema di riequilibrio sempre in azione in grado di orientare, condizionare, modificare sostanzialmente tutti i processi dell’organismo di fronte a stimoli esterni.

Quindi lo stress è una reazione aspecifica dell’organismo (Selye, 1936) a situazioni esterne che sovvertono il suo equilibrio. Sopraggiunge quando uno stimolo comporta richieste superiori alle risorse che l’individuo ritiene di avere a disposizione per potervi far fronte in modo efficace.
Non è una condizione necessariamente patologica e negativa, ma una reazione in primo luogo adattativa, in quanto finalizzata a ristabilire o a mantenere l’equilibrio.
Nel momento in cui l’obiettivo è raggiunto, è necessario che l’organismo torni ad una situazione di equilibrio.

 

Esistono due tipi di stress:

  1. Stress benefico o EUSTRESS: è quell’attivazione adattiva dell’organismo che ad esempio innalza il livello di attenzione, modifica i parametri fisiologici (battito cardiaco, pressione arteriosa, respirazione…) e muscolari per permettere il raggiungimento efficace del compito.
    Quando il compito è raggiunto l’organismo si disattiva e ritorna ad uno stato di equilibrio che permette di “ricaricarsi”.
  2. Stress negativo, cronico o DISTRESS: si ha quando l’individuo non riesce a disattivarsi terminato un evento stressante, portando ad una cronicizzazione e alla seguente maggiore difficoltà ad affrontare nuovi stimoli/problemi per un accumulo generale dell’organismo.

 

Come si arriva allo stress cronico?

Sono le condizioni qualitative interne della persona che impattano con gli stimoli esterni a rendere lo stress cronico e irreversibile; in particolare quando alcune Funzioni del Sé sono cronicamente alterate (tono muscolare di base, respirazione, immagini e fantasie, sistema neurovegetativo,…) l’organismo non risponde efficacemente con attivazione e disattivazione agli stimoli stressanti, accumulandosi e divenendo nocivo.

 

Come funziona lo stress?

Nel 1981 si giunse alla dimostrazione pratica che è il cervello, in particolare l’ipotalamo, a mettere in moto la reazione di stress, liberando una sostanza ormonale denominata CRH che, attraverso il sangue, arriva a stimolare l’ipofisi. Essa rilascia corticotropina (o ACTH) che va a stimolare la corteccia delle surrenali producendo il cortisolo.
Al tempo stesso, tramite il sistema nervoso simpatico, arriva una scarica al centro delle surrenali che produce sostanze eccitanti, come adrenalina e noradrenalina, le quali verranno anche rilasciate dalle fibre simpatiche diffuse in tutto l’organismo.

 

Effetti negativi dello stress cronico:

  • Cortisolo, adrenalina e noradrenalina hanno un effetto squilibrante sul sistema immunitario;
  • Le cortecce prefrontali si atrofizzano, diminuendo le funzioni di integrazione dell’attenzione e del ragionamento con le emozioni;
  • L’amigdala (cuore emotivo del cervello) tende ad ingrandirsi e a diventare iperattiva, spiegando reazioni di ansia, aggressività e risposta esageratamente emotiva allo stress;
  • L’ippocampo è alterato, come se fosse sottoposto ad un processo di invecchiamento accelerato che comporta anche una memorizzazione difettosa;
  • L’ipotalamo è iperattivato producendo cortisolo;
  • Squilibrio sugli ormoni sessuali e metabolici;
  • Sonno disturbato;
  • Alterazione dell’insulina;
  • Alterazione della ritmica tra produzione di melatonina (sonno) e cortisolo (veglia) e spostamento del ritmo con cortisolo di notte e melatonina durante il giorno.

 

Fonti bibliografiche:
Di Nuovo S., Genta E., Rispoli L., “Misurare lo stress”, Franco Angeli, Linea Test.Milano, 2000;
Di Nuovo S., Rispoli L., “Misurare lo stress”, nuova versione, 2010;
Rispoli L., “La valutazione integrata dello stress e la prevenzione”, 1999.

Il mobbing

Per mobbing si intende un insieme di comportamenti aggressivi di natura psicofisica e verbale, esercitati da una persona o un gruppo di persone nei confronti di altri soggetti.

Il termine mobbing ha 2 derivazioni:

  • dal verbo inglese “to mob” che significa aggredire, assalire;
  • e dall’espressione latina “mobile vulgus” usata in senso dispregiativo per indicare il movimento della plebaglia.

Il primo ad usare il termine mobbing fu l’etologo Konrad Lorenz negli anni ’70 riferendosi alle specie animali che erano solite circondare ed attaccare in gruppo un membro dello stesso per allontanarlo e tornare così all’equilibrio.

 

Il primo, invece, a trasferire il termine mobbing nei contesti di lavoro fu Heinz Leymann, psicologo del lavoro tedesco che lo definì “un complesso di azioni e reazioni che ha  luogo in una situazione di terrorismo psicologico esercitato sul posto di lavoro. Esso può assumere molteplici forme: dalla semplice emarginazione alla diffusione di maldicenze; dalle continue critiche, alla sistematica persecuzione; dall’assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione dell’immagine sociale nei confronti di colleghi e superiori”.
Quindi tutte queste azioni vessatorie colpiscono la vittima sia nella sua immagine sociale con apprezzamenti pesanti, scherzi, maldicenze, sia nella sua funzione lavorativa e nel suo ruolo con la riduzione di compiti, assegnazione di compiti insignificanti.

 

Leymann analizza e divide il mobbing in 4 fasi:

  1. insorgenza dell’ostilità: si registrano normali situazioni conflittuali che possono poi trasformarsi in vessazioni;
  2. maturazione del conflitto che diventa continuativo e rivolto verso una vittima precisa trasformandosi in mobbing;
  3. errori ed abusi della gestione del personale in cui i responsabili vengono a conoscenza della situazione e, nella maggior parte dei casi, si pongono contro il mobbizzato perché manifesta un calo di lavoro e si assenta spesso;
  4. esclusione dal mondo del lavoro tramite prepensionamento, licenziamento, dimissioni.

 

Classificazione del mobbing:

Il mobbing può essere classificato in base alla posizione:

  • mobbing orizzontale che avviene tra lavoratori di pari grado;
  • mobbing verticale esercitato dai superiori su un subordinato (mobbing discendente o bossing) e, più raramente, dai dipendenti su un capo (mobbing ascendente o bottom-up).

Dal punto di vista dell’intenzione abbiamo:

  • mobbing emozionale che nasce per motivi di discriminazione di carattere personale (razza, genere, stile);
  • mobbing strategico che corrisponde ad una vera e propria politica aziendale. È una persecuzione stabilita a tavolino dalla direzione per eliminare una persona divenuta scomoda o ridurre il personale.

Quando invece contemporaneamente allo sviluppo del mobbing lavorativo, la vittima subisce vessazioni e viene isolata anche all’interno della cerchia familiare ed amicale, si parla di doppio mobbing.

 

Caratteristiche del mobbing:

Per poter identificare il mobbing devono essere presenti una serie di elementi caratterizzanti:

  • la presenza di almeno 2 soggetti: il mobber e la vittima, più il gruppo di spettatori;
  • intenzionalità dell’aggressore che sceglie una vittima precisa;
  • relazione di potere asimmetrica (uno si sente più piccolo del’altro);
  • intensità emotiva crescente;
  • frequenza settimanale per almeno 6 mesi;
  • finalità di isolare la vittima e allontanarla;
  • malessere del mobbizzato con comparsa di disturbi psicosomatici e\o forme depressive che si esprimono  con lamentosità, apatia, aggressività, demotivazione.

 

Aspetto clinico:

Spesso le vittime hanno pesanti ricadute sul piano psicofisico con perdita di stima di sé e motivazione al lavoro. Da un punto di vista clinico le diagnosi principali che vengono fatte al mobbizzato sono:

  • disturbi psicosomatici (gastriti, coliti, dermatiti, problemi del sonno..);
  • disturbo dell’adattamento (risposta psicologica ad uno o più fattori stressanti che portano allo sviluppo di sintomi emotivi e comportamentali clinicamente significativi e comportano disagio e compromissione del funzionamento sociale e lavorativo);
  • disturbi depressivi che portano ad umore depresso e perdita di piacere e di interesse;
  • disturbo post-traumatico da stress (anche se l’orientamento attuale tende ad escluderlo dalle diagnosi di mobbing perché comporta una compromissione gravissima dello stato di salute caratterizzata da un vissuto persistente di essere in pericolo di vita).

È necessario però dimostrare il nesso di causalità cioè se la patologia è stata causata dal comportamento vessatorio e persecutorio del gobbe e non da uno stato pregresso della persona.

 

Aspetto giuridico:

In Italia non esiste ancora una normativa specifica sul mobbing e si ricorre dunque ad un set di norme che fanno riferimento alla Costituzione, alla normativa sul lavoro 626, ma soprattutto ai diritti civile e penale.
Infatti l’orientamento attuale della giurisprudenza, nella quasi totalità dei casi, tende a ricondurre le condotte del mobbing alla violazione di alcuni articoli del codice civile integrati, nei casi più gravi, con articoli del codice penale come abuso d’ufficio, maltrattamenti, lesioni personali colpose, ingiuria e diffamazione, minaccia.

 

Prevenzione:

Tenendo presenti i danni e i costi del mobbing, non solo per la vittima, ma anche per l’azienda e per la società, è utile intervenire a livello preventivo adottando una strategia a due livelli:

  1. interventi per migliorare l’ambiente di lavoro tramite informazione, definizione, chiarificazioni sul fenomeno, definizione più chiara di compiti e mansioni e ruoli.
  2. interventi specifici contro il mobbing su 3 livelli:
    • Prevenzione primaria: interventi per evitare o ridurre lo sviluppo del mobbing tramite corsi di formazione, Comitati Paritetici, Pari Opportunità;
    • Prevenzione secondaria: interventi per individuare le situazioni di mobbing e di rischio tramite la Consigliera di Parità (pubblico ufficiale) e la Consigliera di Fiducia (propria dell’ente).
    • Prevenzione terziaria: interventi di recupero della salute del mobbizzato, del gruppo e dell’organizzazione tramite sportelli anti mobbing, interventi psicologico-psicoterapeutico, interventi legali.

 

Fonti bibliografiche:

ANASTASIO Guglielmo, Responsabilità civile e mobbing, 2008;
BASSO Lucia, Parità tra uomo e donna, la nuova normativa nazionale ed europea. Dal Codice delle Pari Opportunità” al “2007 anno europeo verso una società giusta”, 2007;
BASSO Lucia, Tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro. Molestie sessuali e mobbing, 2006;
EGE Harald, Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, 2001;
ERNST & YOUNG, Il mobbing nelle Amministrazioni Pubbliche, 2007;
GASPARI Alessandra, Emergenza mobbing. Le coordinate del problema, 2002;
GILIOLI Renato, Soggetti a rischio, frequenza ed estensione del fenomeno nel nostro paese: un’analisi quantitativa, 2000;
LEYMANN Heinz, The mobbing Encyclopaedia, 2003;
PALLESCHI R. , ROSIN R. , VERONESE I. , Un anno di lavoro in team “ cause ed effetti della discriminazione di genere nel contesto lavorativo”, procedure condivise. A cura della Consigliera Provinciale di Parità (Padova), in pubblicazione